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La Storia di Guido Crucitti, giornalista e difensore degli ultimi.

17 novembre 2009

di Guido Crucitti- La storia di un uomo che non venne dimenticato, barbiere di professione, giornalista per dovere.

Il ricordo del “Male ricevuto” può solo servire ad inasprire gli animi e ad avvelenare ulteriormente la nostra già difficile esistenza, mentre il ricordo dolcissimo degli atti di solidarietà è come un “aratro” che viene a squarciare la dura scorza del nostro egoismo per renderci sensibili alle sofferenze altrui e metterci al servizio della famiglia e della collettività!!! Solo così, rievocando il “Bene ricevuto” e spezzando la nostra indifferenza nei confronti di chi ha bisogno di essere aiutato, potremmo a mio avviso sfidare la storia e impedire il ripetersi di tanti errori e…..”orrori”!!!

Mi chiamo Guido Crucitti sono nato a Reggio Calabria e di questa città  sono innamorato.

“Non aspettatevi nulla dall’ America, chiedetevi che cosa potete fare voi per l’America”. E proprio leggendo questa frase tuonata da un Presidente Americano che capii come rivolgermi ai miei concittadini. Tutto nacque circa 33 anni fa, quando imprecando ad alta voce contro chi non interveniva a ristrutturare un edificio molto pericolante,  un passante mi disse,”Invece di gridare contro nessuno, perché non fai tu qualcosa per risolvere il problema?”. Non ho la più pallida idea di chi fosse quell’ anziano signore, so solo che tutta la mia storia da lì ebbe inizio.

Non ho mai avuto un interesse particolare,( calcio, caccia, pesca), perché la mia vera passione è immortalare i problemi comuni con l’ inseparabile macchina fotografica e divulgarli ai quotidiani con la sempre più antica macchina da scrivere.

Io credo sia dovere di ogni cittadino, specie in una città come la nostra dove le autorità sono maledettamente “distratte”, conoscere a fondo i problemi della collettività e collaborare con gli amministratori per la loro soluzione. Segnalare comunque un pericolo, a mio avviso non serve soltanto ad eliminare quella insidia, ma anche a sondare le capacità e la buona volontà degli uomini che ci rappresentano.

Io, ad esempio, scrivo spesso ai nostri governanti (cosa che faccio volentieri dal momento che Reggio ha bisogno di ognuno di noi), però la penna non la uso unicamente per segnalare problematiche, ma spesso, anche per annotare scrupolosamente i nomi degli amministratori interpellati e che non hanno concretamente risposto alle mie richieste, trascurando perfino di spiegare il motivo del loro mancato intervento tradendo così la fiducia del mio voto ( VALORE SACRO ) e venendo meno ai propri doveri.  Ho conseguito la quinta elementare con il massimo dei voti ho anche frequentato quasi due anni di scuola media, ma la mentalità patriarcale e gli affanni del dopoguerra mi hanno scaraventato impietosi nel mondo del lavoro. Iniziai come apprendista nella sala da barba di mio padre ma durò poco.

Quasi adolescente cercai fortuna a Milano, ma al primo appuntamento di lavoro, venni licenziato per cinque minuti di ritardo. Forse grazie a questa esperienza oggi i miei clienti mi chiamano “orologio svizzero”. Nella mia umile carriera da fotoreporter ho collezionato un paio di soprannomi, ma quello che di più prediligo è “VOCE CHE GRIDA NEL DESERTO”. Arduo paragonarmi a Giovanni il Battista ma vi assicuro che fatte le dovute proporzioni, le nostre missioni si assomigliano perché cari concittadini la mia di missione si tratta.

Ricordo le terribili quanto meravigliose giornate dei moti del ’70. Ho detto “terribili” perché, a parte naturalmente le gravi conseguenze della rivolta che tutti conosciamo, la violenza non è stata mai il mio forte, specie nei confronti di chi, come in quella  occasione, indossava una divisa per guadagnarsi il pane. Rammento che nel lanciare le mie pietre e le mie bottiglie incendiarie, tiravo in modo tale da non colpire mai nessuno, limitandomi soltanto ad esprimere il mio sdegno e la mia rabbia per il torto recato alla mia città. Ho anche definito “meravigliose”, quelle giornate, perché proprio allora io ebbi modo di scoprire che Reggio stava per me al di sopra di ogni altro ideale e che il suo gonfalone era per me più importante dello stesso Tricolore che pur tanto amavo!

Quando poi, con l’ arrivo dei carri armati, gli ultimi fuochi della rivolta si spensero, in me continuava tuttavia a riecheggiare, sempre più forte, come per un incantesimo della Fata Morgana, il grido di battaglia dei rivoltosi : “boia chi molla”! Allora i miei occhi si posarono sulla città, quasi che il mio cuore ne avesse udito il richiamo e i lamenti, e mi avvidi che molti altri suoi diritti, non meno sacrosanti del Capoluogo ( pace, salute, lavoro, legalità, vivibilità, sicurezza, ecc. ), le venivano quotidianamente sottratti ! Passai allora dalla rivolta violenta a quella culturale e, sempre con lo spirito dei “boia chi molla”, continuai a lottare per Reggio cominciando da un nemico che era nella mia stessa apatica e omertosa mentalità e in tutto ciò che mi impediva di essere me stesso e di comportarmi da onesto elettore e da buon cittadino.

“Ut unum sint” “Affinché siano una cosa sola”.  Con questa frase e con un dipinto che su mia richiesta ritraeva un delfino in acrobazia circondato da un arcobaleno e la mano di un uomo che ormai esausto stava annegando, il 15 luglio 1975 fondai con alcuni amici un gruppo autonomo per la città di Reggio Calabria denominato “L’ ORDINE DEL DELFINO”. Da sempre questo maestoso mammifero generò in me una profonda ammirazione. Nelle antiche icone il delfino con il tridente rappresenta Cristo risorto, ma la cosa che più di tutto mi sorprese, fu l’ attitudine di questo animale ad intervenire di fronte ad un uomo in difficoltà spingendolo in superficie. In qualche modo mi riconobbi in lui.

Tornando a noi L’ ORDINE DEL DELFINO era strutturato con tanto di presidente, segretario e consiglieri. Ognuno di noi mensilmente e liberamente depositava una quota per sostenere le spese che il gruppo affrontava nelle varie battaglie in favore della città, dei cittadini, e dei più deboli. Vi prenderei troppo tempo nel raccontarvi tutte le nostre battaglie, ma mi piacerebbe ricordare quella volta che, sorpresi dagli infermieri dell’ ex Ospedale Psichiatrico, ci mancò poco che non venissimo alle mani per non consegnare loro il rullino fotografico con il quale dimostravamo lo stato più che fatiscente di degenza dei malati.

Gli anni passavano e col tempo dell’ ORDINE DEL DELFINO non rimase altro che un dipinto e un grande ricordo, ma nel mio cuore il delfino continuò a vivere, così continuai da solo le mie battaglie. Da Giuseppe Iannì a Maria “ciaciola” da Antonino Surace detto “ Mazzola a Angela Arezzi fino ad arrivare all’ ultimo caso da me trattato prima che il “mostro” mi piegasse: il caso Domenico Cuzzola.

In più di trent’anni di interventi e denunce a governanti, magistrature e Clero riguardanti la città e i cittadini, non c’è dubbio che i malati psichici in difficoltà, per me hanno sempre avuto un posto primario nel mio cuore.

 Ricordo sempre quel 9 dicembre del 1977 quando all’ obitorio del cimitero di condera, riconobbi il cadavere di Giuseppe Ianni, che, nella serata precedente, il video giornale  aveva mostrato la foto della salma, identificandolo erroneamente per un vagabondo con altro nome. La verità invece è un’ altra, e per saperla bastava rivolgersi all’ ORDINE DEL DELFINO che con i poveri addirittura ci vive.

Consegnai ad un dirigente della Procura della Repubblica le vere generalità del cadavere lì presente, il luogo, e la data di nascita del poveretto,  informazioni che Iannì stesso qualche mese prima mi confidò, felice del mio interesse nei suoi confronti. Povero Iannì era avvolto in un lenzuolo di carta ( si, proprio di carta!)e pareva dormisse:  Si, è lui! .. ripetevo al dottor Luppino, ma dentro il mio cuore c’ era come una voce che mi diceva con  angoscia: “Sono io invece, quell’ uomo! E tu mi hai abbandonato, mi hai ucciso, mi hai ricrocifisso.” Avevo il cervello in fiamme.

Come accennavo prima, alla mia vita si presentò “il mostro”, come personalmente lo  ribattezzai. Mi colpì ai polmoni e non mi diede scampo. I luminari milanesi mi diedero quattro/cinque anni di vita, e ne fui entusiasta perché avrei potuto scrivere e mettere a conoscenza i miei concittadini dei motivi per i quali, da feroce squalo, divenni  delfino mansueto. Ma ahimè, passarono soltanto tre mesi. Una notte , in ospedale,  rivolsi il mio sguardo verso un vecchietto agonizzante accanto a me. In lui riconobbi il Cristo Risorto, ma non gli chiesi la mia guarigione, bensì gli affidai un amore mio, ed ebbi la certezza che sarei stato esaudito. Dal terzo piano del Morelli, chiesi a mio figlio di affacciarsi dalla finestra e scattare una foto a quello che restava dell’ex 208. Non avevo fiato neanche per parlare, ma quell’articolo si doveva scrivere, ma io, non ne ebbi il tempo. Moribondo, il mio penultimo pensiero lo rivolsi a Reggio Calabria, ai deboli e agli indifesi che stavano per perdere il loro difensore. L’ultimo pensiero, fu per i miei cari.  

Me ne andai un freddo pomeriggio di febbraio, ricordo che dopo la mia morte, piovve tre giorni di fila senza mai smettere. Avevo accanto mia moglie ed i miei tre figli. Ad uno di loro, con l’ultimo alito di vita, consegnai la mia più importante “eredità”. Ricordo che mi accarezzavano e mi ringraziavano di aver partecipato alla loro vita, di avere condiviso con me anni indimenticabili e irripetibili, ma la morte, come sempre, lascia una scia di dolore e di pace. Sono stato un uomo fortunato.

Guido Crucitti   19/01/1943 – 06/02/2008

Papà muore a 65 anni a causa di un Mesotelioma della pleura che lo ha disintegrato in tre mesi. La causa del tumore è stata attribuita all’amianto sprigionato dai phon utilizzati per il suo lavoro di barbiere, amianto che fino al 1992 è stato utilizzato per rivestire la resistenza degli asciugacapelli. L’ INAIL non riconosce il decesso come causa di servizio nonostante nei polmoni siano stati trovati ingenti quantità di asbesto. Da quando aveva 14 anni non ha fatto altro che il barbiere in luoghi privi di presenza di amianto. Chi di dovere fa il sordo, chi di competenza fa il muto. Di amianto si muore ogni giorno, ma qualcuno, ancora, sostiene il contrario.

David Crucitti

2 commenti leave one →
  1. ROBERTO permalink
    25 novembre 2009 10:10

    bellissimo articolo…piango
    quando vivevo a Reggio lui era il mio “BARBIERE”..anzi il “BARBIERE”..
    Una persona di un educazione suprema..sempre gentile, educato e ti faceva sentire a tuo agio..mentre mi tagliava i capelli parlavamo sempre di Reggio Calabria..che io amo tantissimo e forse anche da lui ho preso ancora di piu’ la passione per questa stupenda CITTA’…la nostra REGGIO CALABRIA..piena di problemi ma allo stesso tempo sempre VIVA e da AMARE…GRAZIE SIGNOR GUIDO per tutto quello che hai fatto per la mia amatissima citta’…

    roberto da malta

  2. 12 gennaio 2010 10:10

    Bellissimo… Reggio e tutta la Calabria e i suoi meravigliosi UOMINI_EROI.

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